Settanta e oltre minuti di musica sono un qualcosa che già fa impressione, soprattutto di questi tempi, dove la musica è diventata per molti (ma non per tutti) un prodotto di facile e veloce fruizione. E invece il polistrumentista Daniele Faraotti se ne frega altamente e ci offre una lista di brani che compongono un lavoro che ha quasi dell’incredibile, nel senso che oltre alla durata complessiva del disco molto consistente abbiamo anche a che fare con uno di quegli artisti che danno libero sfogo al loro estro e che cercano perennemente di superare le barriere che dividono un genere da un altro.
Certamente potremmo parlare di rock, di pop, o di “musica italiana”. Tutto questo sarebbe vero ma direbbe tutto e niente di questo album. Quello che parla è la musica che è un ventaglio ampio di influenze, di sfumature e sensazioni. Probabilmente il cantato in italiano è l’unico elemento riconducibile vagamente al concetto di “pop”, mentre per tutto il resto abbiamo a che fare con brani sperimentali e a tratti geniali, che dimostrano un altissimo livello di capacità tecniche, che magari non sempre si traducono in brani pienamente riusciti, ma che stuzzicano l’ascoltatore più curioso a riascoltare questo album per scoprire sempre nuove intelaiature sonore, che sono esplicate con un vero armamentario strumentale che non si basa solo sulla solita formula voce-chitarra-basso-batteria, ma che si arricchisce di tanti strumenti di varia entità che servono anche a dare un appeal quasi teatrale, orchestrale e folk a questo album. Se vi piace la musica più cervellotica e se vi piacciono gli artisti un po’ “pazzi” e fuori dagli schemi (per esempio Frank Zappa), questo album potrebbe rivelarsi un bel viaggio.
Se invece volete ascoltare sempre e solo uno o due generi musicali senza andare troppo oltre, allora cambiate aria. Disco difficile e ambizioso, a tratti riuscito e a tratti un po’ meno, ma sicuramente sopra la media parlando di abilità tecnico-compositive.