Madyon, siamo i primi critici di noi stessi

Madyon, siamo i primi critici di noi stessi

Con un sound figlio di riferimenti musicali che spaziano dal brit pop anni ’90 all’alternative rock dei 2000, i Madyon dimostrano da alcuni anni di essere una realtà tutta italiana con una spiccata vena internazionale. Abbiamo parlato con Cristian Barra, voce del progetto, per discutere del disco “Madyon :: Live 3022”, del passato e del futuro della formazione piemontese.

SWZ: Quando nascono i Madyon e cosa significa il vostro nome?
Madyon:
Ciao ragazzi! Sono Cristian, il frontman della band. Grazie per lo spazio che ci state dedicando, apprezziamo molto. Non ha un vero significato, è un nome inventato, univoco, che non identifica nient’altro al mondo se non la nostra band. A dire il vero però ci sono due versioni della storia che ha portato a questo nome. La prima molto noiosa, basata su un processo di “naming” molto freddo e scientifico. La seconda invece si basa sul ritornello di una canzone che continuava a ronzarmi in testa nel periodo in cui ero alla ricerca di un nome che avesse tutte le caratteristiche fonetiche e di univocità che stavamo cercando. Il brano in questione è dei “The Weepies” e si intitola “World Spins Madly On”. Il ritornello chiude proprio con il titolo della canzone e quel “Madly On”, il suono di quelle parole, ha portato alla formulazione del nome per la band.

SWZ: Avete iniziato con le cover per poi proseguire con musica inedita di stampo pop / rock. Perché proprio questo genere?
Madyon:
In realtà non c’è mai stata una riunione ufficiale nella quale abbiamo definito i caratteri del suono dei Madyon. Il sound è sicuramente figlio dei nostri riferimenti musicali e l’identità nasce dall’accostamento di referenze diverse tra loro. Forse il collante finale è la voce che, a mio avviso, più che sulla tecnica punta sulla riconoscibilità. Gli arrangiamenti invece derivano dal processo di produzione che avviene sempre contestualmente alla registrazione. Non potremmo mai lavorare senza uno studio di registrazione di proprietà, i nostri brani non potrebbero mai nascere nel classico studio affittato per due giorni dove a turno ognuno registra la parte del proprio strumento studiata in precedenza. Siamo i primi critici di noi stessi ed è capitato più volte di arrivare alla fine di un brano e dire “ok, non va bene, dobbiamo rifare tutto da zero”. Soltanto il mastering viene gestito esternamente ma credo sia il ruolo stesso del processo di mastering a necessitare di orecchie “fresche” e non assuefatte dalle migliaia di ascolti che si fanno in studio.

SWZ: Dimostrate da subito di essere di respiro internazionale, tanto da registrare agli Abbey Road di Londra. Cosa avete imparato da quell’esperienza?
Madyon:
La prima volta che sono stato agli Abbey Road Studios per lavorare al primo EP dei Madyon, sono salito sui gradini dell’ingresso tremando e nella control room avevo paura di dare la mia opinione a Christian Wright o Geoff Pesche poiché loro avevano lavorato con artisti come Ed Sheeran, Coldplay o Mumford&Sons. Come per tutte le cose però, dopo aver ripetuto l’esperienza giorno dopo giorno, anno dopo anno, mi sono abituato ed ho preso consapevolezza. A dire il vero sono proprio stati loro ad incitarmi dicendo “Guarda che non devi avere dubbi o paure, a livello tecnico questo prodotto non ha niente da invidiare a cose famose che lavoriamo abitualmente”. È proprio questo il bello degli Abbey Road Studios, la gente che ci lavora tratta allo stesso modo Pharrell o Ed Sheerancome un artista indipendente sconosciuto. E quando si va a prendere tutti insieme il caffè (ovviamente americano) al dispenser, è anche facile incontrare e scambiare due parole con artisti importanti o con Mr. NileRodgers, il loro consulente artistico. Ovviamente non si aprono le porte degli Studios ad artisti e prodotti sotto una certa soglia di professionalità, ma posso garantirvi che quel tipo di esperienza ti migliora dal punto di vista tecnico / professionale e fa soprattutto bene a livello morale. Ciò che abbiamo imparato maggiormente è un differente approccio a livello discografico e di approccio alla musica.Vi porto l’esempio dei nostri live in UK, a Londra, Bristol e Glastonbury: sali sul palco, ti colleghi e suoni. C’è molta meno burocrazia, meno pregiudizi e a livello di audience, il nostro genere musicale si trova veramente a casa sua. Forse la cosa più bella è proprio l’approccio verso ciò che è nuovo. Nei festival le band non vengono valutate per i loro numeri su Spotify o YouTube.

SWZ: Siete molto legati anche alla vostra terra, il Piemonte. Com’è la scena musicale da voi?
Madyon:
Non vorrei sembrare superficiale o menefreghista ma, seriamente, non so neanche se esista una scena musicale piemontese. Amiamo il nostro territorio per svariate ragioni ma i nostri sguardi puntano altrove, spesso oltremanica, anche perché i nostri riferimenti musicali arrivano da lì. Nel Regno Unito si sta vivendo un vero e proprio nuovo Rinascimento della musica suonata, grazie ad una cultura sempre pronta ad abbracciare qualcosa di nuovo e soprattutto grazie a band ed artisti come Sam Fender e Fontaines D.C. che hanno riportato le chitarre elettriche in Top10 e molti altri meno famosi che infiammano i palchi dei loro numerosissimi festival. Artisti della nostra piccola dimensione mediatica, che scopriamo grazie ai correlati proposti dalle piattaforme di streaming, come i Pastel, OctoberDrift, China Bears, Bear’sDen e molti altri.

SWZ: Arriviamo al presente con il disco “Madyon :: Live 3022”. Di che si tratta?
Madyon:
“Madyon :: Live 3022” è un disco live che anticipa le sonorità, la presenza scenica e l’immagine che caratterizzerà il nostro futuro album in studio, la cui uscita è prevista a cavallo tra il 2022 e il 2023.
Per realizzarlo abbiamo organizzato un concerto “segreto” nell’estate 2021, in un teatro di Alba, in provincia di Cuneo. Volevamo coinvolgere esclusivamente il seguito più vicino al progetto e per farlo abbiamo optato per una comunicazione non convenzionale, tramite cartellonistica nelle zone della nostra provincia. Il messaggio era criptato, non conteneva in alcun modo il nome della band ma solo simboli e riferimenti che potevano veicolare nel posto giusto, al momento giusto, solo chi ci segue molto attentamente e sa riconoscere il nostro linguaggio. Volevamo valorizzare le persone che da anni fanno lo stesso con noi e la nostra musica.

SWZ: Perché trasformare il disco in un film? Un’impresa importante e a quanto pare ben riuscita… con “Madyon :: Live 3022” dimostrate di essere già nel futuro. Concretamente, cosa farete nei prossimi mesi?
Madyon:
Il live movie è stato fin dall’inizio il primo obiettivo poichè l’idea era quella di anticipare la nuova immagine insieme ai nuovi suoni della band. Ci piace comunicare con tutti gli aspetti possibili legati alla musica e alle esibizioni dal vivo. Abiti di scena, scenografie e colori, tutto a servizio della narrazione. Sta allo spettatore interpretare il mondo e le storie che vogliamo raccontare. In questo caso un indizio sta proprio nel titolo: un solo numero fuori posto nel titolo (3022 al posto di 2022), oltre a dare identità al prodotto, fa prendere all’intero messaggio una connotazione futuristica / fantascientifica. La stessa che caratterizzerà le storie e le ambientazioni del nuovo album. Questo espediente narrativo inoltre ci ha permesso di riportare sul palco con noi il nostro amico Paolo Papini, chitarrista dei Madyon scomparso nel 2016 a seguito di un tragico incidente. Nella nostra testa i tempi erano maturi per poter finalmente fare qualcosa di “attivo” nei confronti del suo ricordo. Contestualizzandoci tutti in un prodotto video, in un film fantascientifico, le distanze tra noi si sono potute annullare. A metà del film infatti, lo stesso televisore che capta le immagini del nostro concerto, si sintonizza su una registrazione semi inedita di Paolo che suona dal vivo il brano acustico Nadìr, contenuto nel primo EP dei Madyon. Con la première organizzata nei cinema multisala della nostra zona poi, si è coronato il sogno di poterlo riportare fisicamente di fronte a un pubblico, insieme a noi. Essendo tutti contestualizzati nello stesso video era come se fossimo tutti sullo stesso palco, e il palcoscenico dei video è il cinema. Vivere questa première in sala con altre 150 persone è stata un’emozione indescrivibile che non dimenticherò mai. In merito ai prossimi mesi, oltre a lavorare al nuovo album, non abbiamo un vero e proprio tour in programma ma solo singoli eventi, con produzioni dedicate e soprattutto molto curate. Queste si svolgeranno principalmente nella nostra zona, il Piemonte. A livello logistico abbiamo intenzione di registrare e riprendere ognuno di questi eventi per poi riproporli online. Diciamo che l’obiettivo è quello di proporre alcune esperienze fisiche, con i concerti, affiancate ad esperienze digitali, per chi non può raggiungerci in quelle date.

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